La conosciamo come 4K ed è la tecnologia che sta rivoluzionando la definizione delle immagine sullo schermo. In realtà, il suo nome ufficiale è Ultra High Definition (UHD) o anche Ultra HD, denominazione recentemente approvata con le specifiche (o raccomandazioni) BT-2020 stabilite dall’ITU (International Telecommunication Union).

Per raccontare la storia dell’alta definizione è necessario ritornare alla prima grande transizione nel mondo dei TV, quando ai primi modelli con schermo piatto seguirono quelli che promettevano l’alta definizione. Con l’HD si apriva un nuovo mondo ricco di dettagli sorprendenti e maggiore coinvolgimento per il telespettatore e per il videogiocatore. Si passava dalla risoluzione SD (Standard Definition, 720×480 o 720×576 pixel, secondo gli standard) a quella HD (1.280×720 pixel).

Oggi i nostri televisori supportano due formati HD, indicati come 720p o HD e 1080p o Full HD (1.920×1.080 pixel, la “vera” alta definizione). Gli apparecchi in vendita sono dotati di risoluzione Full HD, anche se i contenuti (film, programmi televisivi, giochi, ecc.) sono “solo” HD 720p, in buona parte dei casi.

Il passo successivo nella storia dell’alta risoluzione è stato rappresentato chiaramente dall’arrivo dell’Ultra HD che, proprio come avviene per l’HD (720p e 1080p), copre due formati per la risoluzione: si parte con il 4K, chiamato anche 2160p, e si finisce con 8K, chiamato anche 4320p.

Ultra HD: cosa cambia per l’utente?

È facile intuire i primi e più evidenti vantaggi per il telespettatore che usufruisce dei contenuti 4K: dettagli e particolari, oltre che una totale immersione nelle scene.

Proprio come avviene per i dispositivi mobile – smartphone, tablet – ad altissima definizione, il 4K è caratterizzato da pixel più piccoli su schermi della stessa dimensione, il che significa vedere un’immagine più dettagliata quando la si osserva alla stessa distanza.

Infatti il numero di pixel quadruplica nel passaggio dal Full HD 1080p al UHD 4K o 2160p (parlando di un’area, al raddoppiare dei lati lungo e corto, la superficie è quattro volte tanto). Questo è importantissimo per schermi di grandi dimensioni (oltre 55”), dove i pixel di un 4k sono grandi in pratica un quarto rispetto alla dimensione di un equivalente Full HD.


Continua in modo costante l’aumento delle imprese e persone iscritte al Registro F-Gas  e di quelle certificate. Secondo i dati forniti da Unioncamere ed Ecocerved riferiti al Regolamento 303 (refrigerazione, condizionamento d’aria e pompe di calore) al 30 giugno risultavano iscritte 48.262 imprese (22.088 quelle certificate) e 76.546 persone (54.586 certificate).

I dati testimoniano che il rapporto imprese iscritte/certificate è passato dal 29% del gennaio 2015 al 45% attuale, sono oggi maggiormente consapevoli della necessità di certificarsi per poter continuare ad operare nel settore. Eppure, in queste ore, il Ministero dell’Ambiente sta inviando tramite PEC una lettera nella quale si invitano le circa 30 mila imprese iscritte al Registro Nazionale F-GAS ma non ancora certificate ad accedere al sito F-Gas per compilare e inviare un questionario all’indirizzo web  www.fgas.it/questionario (“Questionario riservato alle imprese non certificate, iscritte al Registro FGas”) in cui si chiede il motivo della mancata certificazione.

A questo proposito, è utile ribadire che una volta che la normativa per le imprese che si occupano di installazione e manutenzione di impianti contenenti f-gas prevede di adempire a due percorsi di iscrizione e certificazione differenti:

  • il primo riguardante la persona che opera sull’impianto: iscrizione al Registro Nazionale F-Gas (con rilascio di numero di iscrizione “PR” seguito da 6 cifre) e poi conseguimento della certificazione personale (ovvero il documento comunemente chiamato “Patentino F-Gas”, riportante il relativo numero di certificazione)
  • il secondo percorso riguarda invece l’impresa: iscrizione al Registro Nazionale F-Gas questa volta come impresa (il certificato rilasciato avrà un numero di iscrizione che incomincerà con “IR” seguito da 6 cifre) e successivamente la certificazione aziendale: essa consiste nella predisposizione di un Piano della Qualità verificato da un ente di certificazione accreditato, il quale rilascerà poi il certificato aziendale riportante il numero di certificazione.

L’iniziativa ministeriale, pensata nel quadro delle attività di vigilanza e controllo, sottende la supposizione che un’impresa iscritta al Registro F-Gas ma non certificata eserciti abusivamente l’attività.

Il Ministero chiede di riferire sul perché tale certificazione non sia stata ancora ottenuta e impone all’impresa di motivarne le ragioni attraverso l’accesso al sito F-Gas, entro 15 giorni.

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Tra Silvio Berlusconi e Vincent Bollorè, due tra gli uomini più potenti d’Europa, c’è grande intesa. L’unione tra Vivendi e Mediaset, secondo quanto si è potuto ricostruire, è sempre più reale ed nata negli uffici di Cologno Monzese dalla volontà da parte di Mediaset di competere a livello europeo.

I giornali degli ultimi giorni grondano di anticipazioni sui dettagli dell’operazione. Secondo Carlo Festa del Sole 24 ore, per esempio, l’accordo preliminare tra le due società dovrebbe essere annunciato domani. “Tutto ruoterà – scrive Festa – sullo scambio azionario del 3,5 per cento di Vivendi e di Mediaset. La quota di Vivendi vale 870 milioni, quella di Mediaset 150 milioni: ovviamente se in questi giorni che mancano alla definizione non ci saranno fluttuazioni in Borsa. La differenza di capitalizzazione sono dunque circa 700 milioni”. Questo significa che, affinché lo scambio del 3,5% delle azioni possa essere “alla pari”, la società italiana dovrà compensare quella francese per circa 700 milioni.

Dividendo le strade (almeno quelle societarie, non editoriali) della pay tv e della tv generalista, Mediaset torna a concentrarsi sul suo business storico: con lo sport (che in Italia e in Europa è sorpattutto il calcio) e i film da Prima Visione migrati sulla pay (e che hanno fatto la fortuna di Sky), la tv generalista è stata più volte data per spacciata. Ma così non è: il «consumo» di tv, inteso come ore passate davanti allo schermo, è in aumento in tutto il mondo. I canali gratuiti si specializzeranno sempre di più su eventi unici, dove il palinsesto, inteso come un programma non ripetibile a una certa ora di un certo giorno (o lo vedi o lo perdi), ha ancora un suo peso; il contrario della pay-tv dove è l’utente a scegliere come vedere un contenuto.

L’obiettivo dell’operazione è allora noto da tempo: creare un campione europeo dei contenuti che possa competere con colossi a stelle e strisce del rango di Netflix. Ma proprio qui entra in gioco la “fase 2″ dell’alleanza tra Mediaset e Vivendi. Sempre secondo Il Sole 24 ore, “il progetto anti-Netflix sotto la regia dell’imprenditore franco tunisino Tarak Ben Ammar prevede una piattaforma comune partecipata da entrambi i gruppi e aperta ad altri soggetti, magari anche alle major Usa”. Non solo: “Vivendi – scrive Festa sul giornale di Confindustria – ha 8 miliardi di euro in cassa ma ha bisogno di alleati come Mediaset (che fra l’altro possiede Medusa) per produrre contenuti esclusivi in Europa”.


Un accordo per portare i 100 Megabit a tutta la popolazione italiana, grazie ai fondi pubblici (3,5 miliardi di euro subito disponibili), all’impegno di Enel e degli operatori privati. Sono i giorni importanti perché, come annunciato il premier Matteo Renzi, questo mese ci sarà il primo bando di gara della nuovo piano banda ultra larga (al 2020), in occasione dell’Internet Day, che verrà celebrato dal Governo il 29 e 30 aprile, a trent’anni dallo sbarco dell’Italia su Internet.

Solo pochi giorni fa il sottosegretario al Ministero dello Sviluppo economico Antonello Giacomelli ha annunciato il primo accordo stretto con le Regioni, con la Toscana, per fare i bandi di gara futuri. L’accordo è per usare 240 milioni di euro pubblici. Nei prossimi giorni si chiuderà anche con Lombardia e Abruzzo. “Siamo in dirittura d’arrivo anche noi, con un accordo da 255 milioni di euro, entro aprile”, fanno sapere dalla Regione Emilia Romagna.

L’accordo con le Regioni è necessario per utilizzare i fondi in modo coordinato e centralizzato, in particolare per costruire una rete in fibra ottica di proprietà pubblica nelle aree dove gli operatori non vogliono investire, ossia 7300 comuni. A questo proposito, serve ancora un passaggio formale tra il Governo e la Commissione europea, che avverrà “forse la prossima settimana”, fanno sapere dal ministero.
La copertura della fibra ottica già è prossimo al 50 per cento della popolazione, con la rete Tim e, in misura minore, Fastweb, Vodafone. Si tratta di fibra ottica fino agli armadi stradali, che però già da quest’anno porta a offerta a 100 Megabit. Sempre nelle aree ricche si concentrerà, almeno all’inizio, il piano di Enel: per coprire l’80 per cento di 224 città entro tre anni. La sua rete però arriverà fino agli appartamenti, quindi potrà dare da subito 1-2 Gigabit al secondo. Al momento, reti in fibra fino agli appartamenti sono di Fastweb (quella storica, in sette città), di Tim (a Milano con 300 Megabit e poi in 100 città entro il 2018) e Metroweb (Milano, Bologna, Torino con offerte Vodafone a 300 Megabit e in futuro Roma, Napoli, Firenze, per un totale di 10 città). Wind e Tiscali hanno solo offerte su reti altrui, Tim e Metroweb.


“Qui abbiamo i sindaci che rappresentano i territori che per primi usufruiranno di un progetto che Enel, insieme ad alcune importanti aziende private, andrà a realizzare in 224 città. Il tema è banda larga ovunque”. Con queste parole, la settimana scorsa il premier Matteo Renzi ha presentato il progetto della banda larga portato avanti dalla società elettrica. È uno dei progetti su cui il Governo punta di più: realizzare una nuova rete per le comunicazioni via Internet. Una rete costruita sia dai privati (come sta già avvenendo, con capofila Telecom Italia), sia dal pubblico.

Perugia, Cagliari, Venezia, Bari, Catania: sono queste le città scelte da Enel per avviare il progetto Banda Ultra Larga, che consentirà di navigare fino a 30 mega bps al secondo.
Così il premier su Facebook: “Insieme ai sindaci di cinque Comuni abbiamo presentato il progetto Banda Ultra Larga di Enel. In sintesi. L’Italia vuole recuperare il tempo perduto sulla rete ad alta velocità – prosegue – Per correre dobbiamo lanciare le gare per i territori non coperti da interesse di mercato (segnatevi la data del 29 aprile) e contemporaneamente incoraggiare tutti gli sforzi degli operatori privati per dare banda ultra larga agli italiani”.